La via dell’Inferno

Sarti Antonio e la via dell’inferno

Dieci domande su Sarti Antonio e la via dell’inferno ( Oscar Mondadori, 2007), il Giallo italiano, televisione, teatro, Bologna, varie ed eventuali.

Intervista con Giovanni Lattanzi

1)      Il volume Sarti Antonio e la via dell’inferno è ricco di storie e di materiali. Come e Sarti Antonio e la via dell inferno (Oscar Mondadori - 2007)perché si è pensato a un libro che, oltre a raccontare le storie di Macchiavelli, raccontasse anche Macchiavelli?

R. Ho la fortuna di avere molti amici. I curatori dei quattro volumi di racconti (tre sono usciti), Carloni e Pirani, sono fra questi. Hanno fatto tutto loro: hanno rintracciato i racconti sparsi lungo trent’anni di carriera, proposti a Mondadori, curati, controllati, letto le bozze… A me non è restato che rileggerli, una volta stampati. E mi sono divertito: molti non ricordavo di averli scritti, perduti nelle pieghe di chissà quale giornale o rivista. Mi sono divertito anche perché i volumi erano stati completati con interventi dei curatori: una scoperta anche per il sottoscritto.

2)      Nei cinque testi qui raccolti, in maniera esplicita in Hanno ucciso Oreste del Buono, ma un po’ dovunque, si percepisce la critica a un mondo letterario chiuso e asfittico, che considera il giallo letteratura di serie B. Che ne pensa? e cosa pensa, in particolare, della polemica sul giallo che, tra l’altro, ha interessato grandi critici come Filippo La Porta?

R. A queste due domande si dovrebbe rispondere con un saggio. Purtroppo, tanta critica che riguarda il giallo è improvvisata e cavalca il momento favorevole. Ma se andiamo indietro scopriamo una quantità di pregiudizi che mi hanno fatto arrabbiare da quando ho cominciato a pubblicare. Mi arrabbio ancora quando scopro, senza stupirmi, adesso, che molti critici conoscono la storia del giallo italiano dal 1990 in poi. Non sanno cos’era prima e quanta e quale è stata la battaglia, e com’è stata, combattuta da pochi scrittori (io c’ero) contro la critica, appunto, ma soprattutto contro gli editori e i loro pregiudizi. Sul saggio di Filippo La Porta, ho scritto e parlato a lungo. Ho trovato punti con i quali convengo, ma ho trovato anche l’antica diffidenza verso la letteratura di genere, mascherata da un velo di sufficienza.

3)      Connesso a questo tema, nei suoi testi si rinviene anche una sorta di dibattito tv/letteratura e una sottile, continua ironia sul mondo della televisione e dei vari mass media, che hanno snaturato il suo Sarti Antonio. In questi testi, mi sembra, Lei ha cercato di riprenderselo.

R. Sarti Antonio è mio e me lo gestisco io. Nei limiti che lui stesso mi consente. Che la Tv intervenga sui romanzi da sceneggiare, non è novità ma si deve consentire all’autore di tali romanzi di esprimere il proprio parere. Si tratta, in fondo, di figli suoi. Criticare certe scelte e certi tagli, è doveroso. Lo ha fatto Chandler: potrò farlo anch’io? Con tutto il rispetto.

4)      Chi è il nuovo Sarti Antonio post-mortem?

R. Non lo so. Ci sto ancora pensando.

5)      Chi è il nuovo io narrante?

R. Io non lo considero un io narrante. Per me è un’entità che sa, consoce il romanzo prima ancora di averlo letto (quindi scritto) e come tale si comporta. Gli è permesso tutto, compresa la critica ai personaggi, agli avvenimenti, al mondo che gira attorno alla storia.

6)      Lei è tra i padri del giallo italiano. Com’è cambiato il mondo del giallo italiano dal 1970 a oggi?

R. Anche qui ci vorrebbe un saggio. Intanto non mi sento padre di niente e nessuno. Sono uno scrittore che si è trovato a raccontare, in un momento nel quale le storie italiane non interessavano. Meglio: erano snobbate. Ha avuto la fortuna di muovere le acque stagnati del poliziesco italiano e di seguirne gli sviluppi, nel bene e nel male. Spesso assieme a dei giovanotti con i quali dividevo certe idee di giallo.

Per dire del cambiamento basta questo: ieri nessuno (intendo editori, critici, studiosi, tranne qualche straordinaria eccezione) voleva sentir parlare di autori italiani. Oggi li cercano. Troppa grazia.

7)      Quanto c’entra il Suo amore per il teatro con la Sua letteratura?

R. Il teatro è stato il primo amore, il primo contatto, con il pubblico, di lavori miei. Dal teatro ho preso la grande lezione di Brecht e ho cercato quelle di altri i grandi teatranti degli anni della mia stagione. Ho cercato di capire quanto e cosa, delle loro proposte, potevo utilizzare nei miei romanzi. Poi il teatro è andato in coma, tranne qualche rara eccezione che si guarda bene dal passare dalle mie parti. Come per tutte le cose belle, aspetto che il teatro si risvegli e ci offra un’altra stagione di idee.

8)      Spesso, anche se in maniera leggera, la politica, o meglio la denuncia sociale filtrano dai Suoi testi, senza mai appesantirli. Crede che il giallo/noir sia oggi l’unico genere in grado di rappresentare la realtà?

R. Assolutamente no. Tutti i generi letterari (come tutti i generi artistici) sono in grado di rappresentare la realtà. Ammesso che lo si voglia fare. Ci sono tanti modi per raccontarci. Si tratta di trovarli. O meglio, di cercarli.

9)      Nel nuovo ciclo di Santovito, scritto a quattro mani con Guccini, si indaga la storia del dopoguerra italiano, rinvenendo storie, come quella di Tango e gli altri, che sembravano doversi esaurire solo nel filone neorealista. Lei mescola invece sapientemente memoria storica e giallo, tanto che anche gli altri Suoi romanzi (penso per esempio a Sarti Antonio e la via dell’inferno) si sono ispessiti e problematicizzati proprio a partire dal ciclo suddetto. Ce ne parla?

R. Intanto Santovito non è poi nuovo nuovo. Il primo romanzo (Macaronì) è uscito dieci anni fa e dieci anni sono tanti per un romanzo. Poi, la mia intenzione, quando ho iniziato a scrivere con Sarti Antonio, era di utilizzare il giallo, oltre che per il divertimento della scoperta, anche per raccontare il mio mondo, quello che vivevo e vivo. Tant’è che il primo romanzo (Le piste dell’attentato) mi fu restituito dall’editore (Garzanti, per chi fosse interessato) perché l’intento politicizzante prevarica la trama gialla vera e propria. Eravamo nel 1974 e quelle parole mi hanno fatto felice. Era ciò che volevo fare.

10)  Bologna è diventata una delle protagoniste delle Sue storie. Scendiamo con Lei nei sotterranei e nei misteri dell’ex città più democratica del mondo. Quanto è importante Bologna, la sua storia, la sua topografia, per i Suoi romanzi? Quanto è importante la Storia? Dove porta la via dell’inferno?

R. Senza Bologna non ci sarebbero stati i miei romanzi. Almeno non così come li ho scritti. Venivo dalla montagna, ero giovane, mi portavo dietro una cultura montanara, che in città non contava e non serviva. Bologna mi ha protetto e aiutato. Ci vivevo bene. Ho ricambiato cercando di capirla, di scoprirla. Bologna non si mostra facilmente. Si nasconde e bisogna andarla a cercare, saperla guardare in un certo modo.

Dove porta la via dell’Inferno? Come scrivo nelle ultime righe del romanzo I sotterranei di Bologna, la via dell’Inferno porta all’Inferno che sta sopra. Infatti, Sarti Antonio, Pedro e Pellicano si accingono a lasciare i sotterranei. I tre “sono arrivati alle scale dell’Inferno. Sarti Antonio le ha già imboccate”. Tornano in superficie. Nella città l’inferno.

loriano

16 novembre 2007.

 

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