APPUNTI PER UNA STORIA DEL ROMANZO GIALLO ITALIANO
Testimone d’accusa: io c’ero.
( Intervento tenuto al convegno di Lione il 3 marzo 2001)
“Il giallo italiano: una letteratura contemporanea”. Il mio intervento potrebbe esaurirsi con alcune citazioni che non temono smentite.
Per esempio, Giuseppe Petronio: “Ecco, allora, l’insegnamento del giallo: c’erano gli autori, i libri, i lettori, c’erano i teorici e i critici, ma noi – non io, questo o quell’altro, ma la critica – non ce ne accorgevamo (…) E quando poi si è dovuto prendere atto che c’erano, e si è visto che ne scrivevano anche scrittori veri…[1]”
Augusto De Angelis: “No, davvero, signore, non ho rimorsi a scrivere oggi romanzi polizieschi. È un far versi anche questo. Anche al problema e all’enigma occorrono le rime. E se il rimario di cui ci si serve è il manuale di criminologia o il trattato di Tardieu sui sintomi e sul decorso dei veleni, siamo sempre poeti.[2]”
Carlo Emilio Gadda: “Il pubblico ha diritto di essere divertito. Troppi scrittori lo annoiano senza misericordia. Bisogna dunque riportare in scena anche il romanzo poliziesco…[3]”
Bertolt Brecht: “Visto che la letteratura è in una situazione tale che non la si può migliorare attraverso pubbliche discussioni, io per conto mio sono decisamente favorevole ai romanzi polizieschi. (…) Nella nostra epoca, fra prodotti di un certo livello artistico … gli unici forse ad avere un tale sano schema sono i romanzi polizieschi”[4].
Per finire, ma ce ne sarebbero tanti, cosa pensava Umberto Saba del giallo: “Un uomo fuori di chiave (…) e un bastian contrario anche in poesia: vuole una poesia semplice (…) ama Verdi, apprezza i libri gialli e pensa che da essi nascerà un giorno il romanzo moderno.[5]”
Che senso ha il mio intervento al confronto con tali personaggi? Io posso comunque portare la testimonianza di chi ha vissuto in prima persona l’ultimo periodo della storia del giallo italiano e proprio attraverso la mia testimonianza (spiegherò più avanti perché) e una documentazione mai prima d’oggi messa a disposizione di chi voglia utilizzarla, si può ricostruire quello che sta dietro le quinte, la parte della storia che non appare nei romanzi, nelle antologie, nelle tesi e nei saggi, nelle interviste… perché non la si conosce, perché fa parte della sfera privata degli autori.
In concreto, vi parlerò di ciò che è stato fatto e di ciò che si poteva fare, di chi lo ha fatto e di chi ha posto ostacoli all’affermazione o al fallimento del poliziesco italiano. Il che significa poi, la giustificazione della situazione attuale, qualunque essa sia, nel bene e nel male.
Il romanzo poliziesco sta vivendo in Italia un momento magico: titoli nelle classifiche dei libri più venduti, interviste agli scrittori, articoli su quotidiani e periodici, critica attenta, università aperte, tesi di laurea sul genere e sugli autori di oggi e di ieri e magari anche di domani, Istituti di Cultura all’estero pronti a invitare e a discutere, editori grandi e piccoli alla ricerca di nuovi scrittori…
Un esempio clamoroso: quando mai in passato si era visto un futuro Presidente del Consiglio incontrare due scrittori di romanzi polizieschi durante una festa nazionale di partito e alla presenza di migliaia di spettatori? È accaduto in Italia: il futuro Presidente del Consiglio era D’Alema Massimo, i due scrittori erano Montalban e Camilleri e correva l’anno 1998, addì 9 settembre, in quel di Bologna.
Guarda un po’, Bologna, una città che tornerà spesso nelle mie note. Dunque, cosa vogliamo di più? Negli anni ’70 e ’80 ho lottato, a volte con cattiveria e spesso da solo, che la letteratura di genere faceva arricciare il naso alla critica e ai giornalisti, per arrivare a questo e adesso mi piacerebbe godere il trionfo mio e dei miei colleghi, ma c’è un tarlo che mi rode, un tarlo del quale vi dirò prima di finire l’intervento.
Sia chiaro che io non sto a fare rimostranze e non piango sulle disgrazie passate del poliziesco italiano. Ci mancherebbe! È proprio da quella situazione che io e alcuni altri, pochi in verità, siamo partiti per arrivare dove siamo oggi. È proprio da quelle difficoltà che si sono sviluppate le profonde e robuste radici del poliziesco italiano dei nostri giorni. Sono state proprio quelle difficoltà a spingerci a lottare con caparbietà, con rabbia, per dimostrare che c’eravamo.
Ricordo l’articolo di un importante e ascoltato critico letterario dei primi anni ’80 (ho cercato l’articolo, ma non l’ho trovato) che scrisse come il giallo italiano non avesse consistenza, si sbriciolasse fra le mani. Gli inviai una infuriata lettera nella quale lo invitavo a leggere un mio romanzo e poi ne avremmo discusso! Aspetto ancora la risposta.
Oggi non ci sono dubbi: il poliziesco italiano c’è, sta vivendo un momento magico e lo dimostra che siamo qui a discuterne. Oggi abbiamo tutto quello che mancava, dai nuovi editori ai nuovi scrittori, da giovani entusiasti che scrivono e che sperimentano, a una critica finalmente attenta, dai giornali che non vedono l’ora di pubblicare articoli alle importanti case editrici che non vedono l’ora… Abbiamo soprattutto dei lettori e di questi, noi scrittori dovremo tenere conto.
Gli autori italiani hanno fatto una scelta di qualità che ha pagato e ha fatto sì che alcuni critici e accademici (Giuseppe Petronio, Renzo Cremante, Elvio Guagnini, Oreste del Buono, Raffaele Crovi, Claudio Savonuzzi, Loris Rambelli e qui mi fermo perché non ne vedo altri) si schierassero dalla loro parte, fornendo il supporto culturale indispensabile, senza il quale il genere non esisterebbe. Hanno fatto un così buon lavoro che anche autori famosi che in passato avevano storto il naso al solo colore giallo, oggi si sporcano le mani. Volete qualche nome? No, meglio di no.
Ma il successo del poliziesco italiano non è nato dall’oggi al domani, è frutto di paziente lavoro, di tentativi, d’incontri fra scrittori e scrittori, fra scrittori, critici e studiosi… È il frutto anche di quelle associazioni a delinquere, che altro non sono gli scrittori, che è uno dei motivi, forse il più importante, del successo attuale del giallo italiano.
Per non essere frainteso e perché non venga a qualcuno il sospetto che io mi sia accodato al plauso generale sul poliziesco, così di moda oggi, ricordo che nel 1992, a Cattolica, sostenevo che “il poliziesco è oggi il solo genere letterario che proponga delle novità e della sperimentazione.”
Associazione a delinquere, dunque. La prima idea di associazione a delinquere, una sorta di
congrega segreta fra scrittori italiani di giallo, nasce da un gruppo di cospiratori, fra i quali il sottoscritto, presenti nel 1975 a Cattolica, sede dell’allora neonato Festival del Giallo e del Mistero, che nel 1980 diventerà il più noto Mystfest. L’idea, per il poco peso che avevano allora gli scrittori di giallo nei confronti della critica e dell’editoria, non approda a risultati concreti e cova fino al 12 settembre del 1980, sempre a Cattolica, diventata ormai la capitale del giallo italiano. È in quella sede e nell’ambito del Mystfest, che un gruppo di scrittori riprende l’idea e, su un documento del sottoscritto[6], ravvisa la necessità di far nascere un’associazione di scrittori italiani di poliziesco nella convinzione che offrendo agli editori un pacchetto di autori professionalmente preparati, si potessero muovere le stagnati acque del giallo italiano.Nasce così il Sigma, Scrittori del Giallo e del Mistero Associati[7], con un progetto editoriale credibile e con un gruppo di scrittori sufficientemente noti e che offrono affidamento di continuità e professionalità.[8] All’associazione aderiscono scrittori provenienti da ogni parte d’Italia, Roma, Milano, Bologna, Firenze, Sardegna, Sicilia. Presidente è Biagio Proietti, tesorieri Casacci e Ciambricco, quelli del famigerato televisivo tenente Sheridan[9].
Durante l’edizione 1981 del Mystfest, in occasione del secondo convegno del Sigma, presento una scheda di progetto per una collana di gialli e per una rivista[10]. Non nasceranno né l’una né l’altra e allora contatto Luigi Bernardi, editore di una rivista a fumetti, Orient Express, che diventerà molto nota e diffusa, e gli propongo una collaborazione con il Sigma per un rubrica all’interno della sua rivista. Nascerà e si chiamerà “Scompartimento omicidi”.
1982: mie proposte agli iscritti al Sigma per la collaborazione con Orient Express e in luglio esce il primo “scompartimento Omicidi”. In seguito non arriverà nessun contributo da parte degli iscritti, nonostante la lettera in data 15 settembre[11], di appello ai soci.
Mi stanco e fine dello spazio, il primo che io sappia, che gli scrittori italiani di poliziesco avevano ottenuto su un periodico a diffusione nazionale.
Così com’era strutturata, l’associazione non poteva funzionare e non funzionò. Il Sigma visse appena un anno e le cause del fallimento furono l’impossibilità di frequenti incontri fra gli iscritti, essendo questi sparsi su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto impossibilità di mettere a punto un progetto editoriale serio a causa di incomprensioni, incompatibilità e invidie professionali. Prevaleva, negli aderenti, la vecchia idea dello scrittore per cui le difficoltà di comprendersi nascevano dal lungo isolamento volontario cui gli scrittori stessi si erano condannati.
Nel 1984, nell’intento di superare almeno i confini di spazio, compio un altro tentativo di associazione fra scrittori italiani di giallo, tentativo che ha sempre gli stessi motivi ispiratori: presentare a un editore intelligente il progetto di una collana esclusivamente riservata agli autori italiani e progettare una rivista dedicata al giallo italiano. Nasce il Gruppo 8 e ne fanno parte scrittori almeno territorialmente vicini: oltre al sottoscritto, Perria, Olivieri, Veraldi, Anselmi, Enna, Russo, Signoroni. Pare che l’idea funzioni e un editore, Sperling & Kupfer, accetta la sfida e l’idea di una collana interamente riservata agli autori italiani.
Ricordo con terrore, e anche imbarazzo, l’ultima riunione alla Sperling & Kupfer, presenti Donatella Barbieri e il dottor Barbieri. Quest’ultimo, dopo aver a lungo disquisito sull’importanza della collaborazione fra editore e scrittori, con un colpo di teatro fa entrare nella sala dove eravamo riuniti, un carrello pieno di libri e sbatte sul tavolo i romanzi di Le Carrè, Forsithe, Fleming, Stephen King, Ambler… Insomma i best sellers mondiali. Ci guarda in faccia uno per uno e dice, con tono profondamente convinto: “Ecco qua, voglio romanzi come questi! Fatemeli avere e domani si stampa.”
Evidentemente qualcuno non aveva capito bene: noi o l’editore. Non ci siamo più rivisti: misera fine di un progetto editoriale e di una associazione a delinquere.
Agosto 1985: un altro tentativo con gli scrittori per convincere un editore a pubblicare una collana tutta italiana. Lo faccio, assieme a Felisatti, e prende il nome di Autori Associati. Ne fanno parte Luciano Anselmi, Franco Enna, Alberto Eva, Paolo Levi, Loriano Macchiavelli, Ugo Moretti, Domenico Paolella, Antonio Perria, Fabio Pittorru, Enzo Russo, Secondo Signoroni, Attilio Veraldi, Diego Zandel. Di quel tentativo esiste una sorta di manifesto[12] del quale leggo un brano: “Noi crediamo che esista un gruppo numeroso, qualificato di autori italiani di poliziesco che hanno, nella diversità delle caratteristiche individuali, elementi in comune: le loro opere si ispirano alla realtà in cui viviamo… sono ambientate nelle nostre città, dichiarate, riconoscibili, delle quali riflettono gli umori e le patologie; contengono, insomma, una testimonianza del nostro mondo come la cosiddetta letteratura seria non fa più da tempo. Ci sentiamo perciò di affermare che esiste una vera e propria scuola del giallo italiano. Quello che è mancato finora è una politica editoriale; ogni autore è rimasto isolato, ogni libro un fatto a sé. In un mercato dove le spinte promozionali, la pubblicità hanno una importanza fondamentale per imporsi e richiamare l’attenzione del consumatore, la dispersione degli autori e dei titoli non ha consentito che si formasse un’immagine, quella della scuola italiana del giallo, come abbiamo detto, capace di creare nel lettore un interesse permanente e di imporsi anche all’estero. Ma si può fare…”.
La data è luglio 1985, il luogo Cattolica e mi pare che i punti fondamentali di quel manifesto siano validi ancora oggi. Avevamo trovato anche un editore, non molto noto ma ricco per un settimanale che vendeva centinaia di migliaia di copie: “Cronaca vera”. Una schifezza che il pubblico divorava con la curiosità delle cose proibite. Se devo dire la verità, non ho ancora capito perché il progetto sia fallito. Sono ancora qui, a distanza di tanti anni, a chiedermi cosa non ha funzionato. A quel punto e visto che assieme ad autori importanti non avevamo ottenuto risultati, penso a una collana riservata ad autori italiani e diretta dal sottoscritto, con un piccolo editore, Cappelli di Bologna, e con la partecipazione di autori esordienti. Chissà che non fosse l’idea buona. Escono tre volumi miei che, nell’intenzione dell’editore, dovevano fare da apripista, ma quando arriva il momento di dare spazio ai nuovi e giovani autori, la collana si chiude. L’editore non credeva che autori sconosciuti vendessero abbastanza da sostenere l’iniziativa. Poteva almeno provarci!
Estate ’90: finalmente qualcosa di nuovo, e che funziona, nel poliziesco italiano:
Macchiavelli, Lucarelli e Fois fondano il Gruppo 13. Ancora Bologna. E da Bologna si estende in altre parti d’Italia. Sull’esempio del Gruppo 13 nascono a Milano “la scuola dei duri” e a Roma un tentativo analogo, non so se riuscito o no. Questa volta funziona, forse perché chi vi partecipa è giovane, a parte il sottoscritto, e ha perduto per strada le abitudini dei vecchi scrittori e ama il colloquio, il confronto, l’intesa.
Dal ’90 a oggi è tutto in discesa. Anche troppo. Nel senso che ora tocca a noi, agli autori, conservare il patrimonio di lettori e di editori. Se scorrete l’elenco degli autori del Gruppo 13 vi accorgete che da lì sono uscite le nuove leve del poliziesco italiano e un notevole rinnovamento nei temi e nel linguaggio che hanno finalmente dato un nuovo impulso al genere e che hanno permesso ad altri giovani autori di trovare spazio nella giovane editoria italiana.
Non sono un critico e non me la sento di tentare un’analisi critica del nostro poliziesco, ma mi sento di affermare che il poliziesco italiano, e non solo italiano, oggi, per le sue caratteristiche di linguaggi, temi, ricerca… è una letteratura contemporanea, forse la più adatta a indagare la nostra società, a metterne a nudo i difetti e, ammesso che ce ne fossero, i pregi.
Interessante, in questo senso, la dichiarazione di Patrick Raynal, direttore della Serie Noir di Gallimard, il quale sostiene che il romanzo giallo, italiano ed europeo, è “una sorta di ‘ponte’ teso fra culture diverse che tutte accomuna e tutte mette in contatto; attraverso di esso parlano le realtà dell’emarginazione, gli esclusi, i rifiutati, chi, per forza o per scelta, passa la propria vita sfuggendo alle regole e all’istituzione. Il nuovo poliziesco, che fa da contraltare al noir classico e cela il germe del rinnovamento letterario europeo, affonda le sue radici nel sociale. Se si otterrà una unificazione culturale dell’Europa sarà appunto grazie al giallo, ai nuovi scrittori che, in Francia come in Italia, in Gran Bretagna come in Germania, stanno emergendo e portando il genere fuori dall’ombra e dall’indifferenza in cui a lungo è vissuto”[13]. Di quale altra letteratura contemporanea si può dire lo stesso?
E a questo punto il tarlo che mi rode e al quale ho già accennato. Non piacerà ai miei colleghi scrittori. Di cosa si tratta? Si tratta del futuro del poliziesco italiano. Dove sta andando? Editori grandi e piccoli fanno a gara per accaparrarsi nuovi autori e pubblicare romanzi gialli italiani e questa situazione ha finito col creare un gran casino: si stampa di tutto; la televisione trasmette e ritrasmette senza sosta vecchia e nuova fiction di autori italiani; gli scrittori italiani non si prendono neppure il tempo per dormire e scrivono, scrivono, scrivono e intervengono su tutto… La stampa nazionale c’interroga e vuole nostre dichiarazioni anche in occasione di incidenti stradali. Figuratevi per i delitti che fanno notizia!
A questo proposito ricordo un episodio che mi ha fatto riflettere: il maresciallo dei carabinieri del mio paese, mi ha convocato in caserma… e quando i carabinieri convocano, c’è sempre un guaio in vista. Non ricordo di essere mai stato chiamato per motivi divertenti o conviviali. Dunque, mi convoca, mi fa sedere davanti alla sua scrivania, mi guarda con intensità come se stesse cercando le parole per comunicarmi l’atto d’accusa per un omicidio e poi, di colpo, mi chiede: «Lei cosa ne pensa? Ha qualche ipotesi?»
Voleva sapere cosa ne pensavo di un omicidio particolarmente feroce avvenuto in paese e per risolvere il quale aveva tentato di tutto senza arrivare a nulla. Io ero l’ultima sua risorsa, io, un giallista che i delitti li inventa, li fa eseguire, li analizza e arriva a una soluzione che conosce fin dall’inizio dell’avventura.
Insomma, più che associazione a delinquere, stiamo avviandoci a diventare un’agenzia di pettegolezzo e di questa situazione in bilico fra letteratura e giornalismo spazzatura, si è accorto Giuseppe Petronio, da critico severo e preciso quale è, che puntualizza in un articolo, riferendosi a un autore – del quale dovrete indovinare il nome – che va molto in tutto il mondo: “Scrive polizieschi perché il poliziesco è di moda, rifà il verso agli scrittori che gli piacciono, a quel Vàzques Montalbán che anche lui a un certo momento ha tappato le orecchie alla Musa e si è dato alla scrittura facile. Chiama Montalbano il suo poliziotto, infarcisce le sue pagine di ricette e di pranzi, mescola alle indagini le vicende sentimentali del suo eroe e le condisce con un pizzico di erotismo, si sforza di inventare un marchio suo che colpisca i lettori e faccia discutere i critici, lavora, insomma, come vuole il mercato.
(…) …polizieschi che si scrivono oggi: contenitori inerti, in cui lo scrittore stiva di tutto.[14]”.
Considerazioni per Camilleri, come avrete certo capito, ma che, a mio giudizio, si possono estendere a molta della letteratura poliziesca italiana contemporanea, mettendola in discussione, dal momento che molti, scrittori ed editori, si affannano a sfruttare il momento magico senza preoccuparsi della qualità. E guardate che io sono stato uno dei più accaniti sostenitori del poliziesco italiano. Ho sempre sostenuto, e lo sostengo tuttora, che il genere ha bisogno di nuova linfa, di giovani autori per sopravvivere e in questo senso ho fatto quanto potevo. Ma il genere ha bisogno anche e soprattutto di qualità, oggi più del passato perché è oggi che si decide se siamo scrittori con del carattere o scrittori della domenica.
Come passa in fretta il tempo e come passano in fretta le mode in questo nostro mondo globalizzato, internetizzato, emailizzato, cellularizzato e via dicendo! Solo alcuni anni fa, mettiamo due, non avrei mai immaginato di arrivare a fare una simile dichiarazione sul poliziesco italiano! Resto comunque sempre del parere che perché il genere non muoia di asfissia e di monotonia, è necessario che guardi avanti, che si modifichi come si modifica la società nella quale è ambientato, che cerchi nuove formule… Insomma, che non si adagi sugli allori come mi pare stia facendo in questi tempi. LM
[1]- Il punto su: Il romanzo poliziesco a cura di Giuseppe Petronio, Universale Laterza, Bari, 1985.
[2] – Esiste il giallo italiano? A. De Angelis in Lettura, marzo 1980.
[3]- Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, Carlo Emilio Gadda, Garzanti, Milano 1963.
[4] – Bertolt Brecht, non trovo più dove; se qualcuno lo sa mi scriva.
[5] – Racconto del Novecento letterario in Italia, Giuseppe Petronio, Editori Laterza, 1993.
[6] – Allegato 1, “Rapporti associazione – editoria”, una mia nota, purtroppo senza data, a Felice Laudadio, direttore della prima edizione del Mystfest (pdf).
[7] – Allegato 2, comunicato stampa e 3, carta intestata (pdf).
[8] – Allegato 4, bozza di statuto (pdf).
[9] – Allegato 5, elenco degli iscritti (pdf).
[10] – Allegato 6, Invito ai soci Sigma per fondare una rivista (pdf, ancora senza data!)
[11] – Allegato 7, lettera ai soci Sigma (pdf).
[12] – Allegato 8, Manifesto per un Giallo all’italiana e allegato 9, lettera di annuncio (pdf).
[13] – Sabina Macchiavelli in Etonnantes voyageurs, IXe Festival International du livre, Saint Malo, 8-10 maggio 1998, su Delitti di Carta n° 3, 1998.
[14] – Giuseppe Petronio, L’Unità, 12 aprile 1999.