Sarà il caldo di un’estate torrida anche al Termine a farmi sragionare di un passato che mi (ci riguarda). Ecco il risultato. Il brano è lungo, lo so, ma se non ve la sentite, lasciate perdere subito: non leggete neppure la prima riga, qui sotto.
Il passato comincia così:
Nel 1972, assieme agli amici del GTV, giravamo l’Italia portando in teatro il mio testo “Voglio dirvi di un popolo che sfida la morte”. La regia era di Luciano Leonesi. Ricordo ancora la commozione degli spettatori (e la nostra) durante la recita e dopo, quando venivano a chiedere altre notizie oltre a quelle che avevamo dato nello spettacolo.
Avevamo portato in teatro il dramma della Palestina che in quegli anni era sconosciuto ai più. Eppure nel 1948 c’era già stato il massacro di Deir Yassin e di Kafr Qasem e nel 1982 sarebbe arrivato il settembre nero di Sabra e Shatila.
Siamo stati i primi in Italia a portare il dramma dei palestinesi in palcoscenico. Nello stesso anno Dario Fo recitava “Fedayn – La rivoluzione Palestinese attraverso la sua cultura ed i suoi canti”.
Dario Fo venne vedere le nostre prove al teatro Sanleonardo di Bologna e a darci dei preziosi consigli dei quali Luciano Leonesi tenne conto nella sua regia.
Prima di andarsene, disegnò una bellissima locandina che utilizzammo per tutte le repliche. La conservo nell’archivio del mio passato.
Ho appena riletto il testo e mi sono accorto di quanto, già allora, eravamo vicini alla realtà del problema palestinese.
Quello che avevo scritto nel 1971 potrebbe essere stato scritto oggi. Con una sola ignobile, vergognosa differenza: la falsa realtà che hanno costruito attorno al problema, è andata molto oltre la mia. Non ha più remore, quelle remore che ci eravamo illusi non dovessero essere superate.
Alcune frasi inserite nel testo nel lontano 1972, suonano oggi come una triste profezia: “…un’operazione colonialistica ben programmata …per preparare il terreno idoneo al crimine finale. E questo grazie anche all’assenteismo di tutto il mondo…” O anche: I palestinesi oggi vivono la loro duplice tragedia di sangue e di crimine…” O ancora: “In base a questa legge posso farti giudicare da un tribunale militare e farti ritirare il permesso di lavoro. In base a questa legge e per la sicurezza dello stato, posso toglierti tutto…”
Il verso di una poesia ipotizza nel 1972 come sarà il nostro comportamento, a distanza di cinquant’anni, alle notizie che oggi ci arrivano dal luogo di un massacro: Uomini! Sentite la radio? Ascoltate le notizie? Capite ciò che udite?
A rileggerlo oggi, quel testo, a distanza di anni che sono diventati secoli, mi sono reso conto di quanta ingenuità erano nutriti i nostri ideali. Meglio, di quanta ignoranza, nel senso di mancata conoscenza dell’ideologia del nemico, c’era nella nostra presunta cultura di sinistra. Come facevamo a credere veramente che il nemico avrebbe rinunciato alle sue vittorie e alle sue conquiste semplicemente perché noi urlavamo slogan come La rivoluzione di popolo non può mai essere sconfitta? O come Vietnam, Indocina, Cambogia e poi tutto il mondo! Guerra di popolo fino alla vittoria! O ancora Le masse arabe combattono al fianco dei fedayn…”
Non esiste rivoluzione di popolo, non esistono masse.
La vittoria c’è stata e continua oggi: è la vittoria di chi non ha ideali, di chi non si ferma a piangere i morti perché, comunque, non sono e non saranno mai i suoi morti; di chi ha più spazio per convincere gli altri delle proprie ragioni e armi vere che lo aiutano nell’opera di convinzione.
Noi, e tutti quelli come noi, ieri avevamo un palco, dei mitra di legno e spettatori ad ogni replica che non avevano bisogno di essere convinti. Conoscevano il nostro linguaggio e lo condividevano. Oggi non abbiamo neppure quelli. E i mitra di legno sono marciti in qualche scantinato di teatro.
macchia,
in crisi d’identità.
Caro Loriano, mi spiace che le sue convinzioni si siano infrante contro la realtà. Mi viene in mente un altro idealista :Tiziano Terzani, prima pro vietcong e poi si è accorto dei boat people, poi pro khmer rossi e poi obtorto collo ha dovuto ammettere i massacri, poi è tornato in Vietnam dove ha scoperto che sono diventati capitalisti più selvaggi di noi, infine tornato in Italia si è battuto per i migranti illegali facendosi crescere una barba da santone indiano. Io sono contro i migranti illegali e, se avessi avuto qualche dubbio, Terzani mi ha convinto di avere ragione, visto che qualunque sua scelta si è rivelata sbagliata
Giancarlo ci riprova, ma le sue argomentazioni sono inconsistenti. Dopo questa tirata io dovrei essere convinto delle sue idee e quindi?
Quindi, che i massacri proseguano e, poiché Terzani non ne ha preso una, accettarli come inevitabili uno dopo l’altro, uno più crudele e inutile dell’altro.
Ma i massacri non sono un destino dell’uomo. Non sono un alluvione, un terremoto, un incidente stradale… I massacri sono un scelta precisa di questa società e non mi interessa chi sia stato il primo a cominciare. Mi interessa che ci ragioniamo, che mettiamo gli eventi nella loro giusta collocazione. Mi interessa che ci siano altre ipotesi che ci permettano di vivere in pace. Mi interessa non essere d’accordo con Giancarlo e poterlo scrivere. Mi interessa non accettare le guerre come eventi inevitabili. Mi interessa non essere d’accordo con chi le stragi le sollecita, così chi non la pensa come Giancarlo, impara. Finalmente.
Che bella una società fondata sulla verità obbligatoria!
macchia
Evidentemente apparteniamo a 2 universi separati
Parlare di universi per le nostre inutili frivolezze, mi sembra eccessivo. Mi limiterei a definirle “opposte parvenze di ideologie”.
macchia