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Questa sezione è dedicata alle notizie su Loriano Macchiavelli, oltre a segnalazioni, idee, progetti scritti di suo pugno. Seguitelo.

CONTINUO CON LA GERMANIA

non perché mi stia antipatica. Voglio bene all’umanità intera, se l’umanità lo merita.
Continuo con la Germania perché ho idea che tiri una brutt’aria anche da quelle parti e poi quello che sta succedendo in quel paese, è emblematico per i cambiamenti che stanno avvenendo in Europa e nel mondo.
All’uscita del romanzo Vola Golondrina, scritto assieme all’amico Franzec e in libreria nel 2024, la nostra agente letteraria lo ha proposto all’editore tedesco che ha pubblicato i nostri romanzi precedenti. La risposta è stata rapidissima: non pubblichiamo Vola Golondrina perché è un romanzo troppo politico.
Per chi vuole vedere i fatti nella loro dimensione, la risposta dell’editore tedesco era già un segnale di cambiamento politico e sociale. Il resto arriverà, abbiate fiducia amici miei.
macchia

A PROPOSITO DI ELEZIONI IN GERMANIA

Rosas la pensa così.
Dovete stare a sapere, cara la mia gente, che una volta esisteva, dopo la fine della seconda guerra mondiale, l’Unione Europea e la gente si sentiva più tranquilla, era convinta che non ci sarebbe mai stato una terza guerra mondiale. Gli erano bastate, e avanzavano, le prime due.
Si sbagliavano alla grande. Il lavoro di pulizia, intesa metaforicamente, era solo iniziato.
E voi, imparate che occorre vedere
e non guardare in aria: occorre agire
e non parlare. Questo mostro stava,
una volta, per governare il mondo!
I popoli lo spensero, ma ora
non cantiamo vittoria troppo presto:
il grembo da cui nacque è ancora fecondo.

Frasi scritte, lette e rilette, recitate e ripetute mille e mille volte e mai veramente ascoltate, mai veramente capite. Mai veramente entrate nella memoria storica.
Quel grembo era purtroppo, ancora fecondo e il mostro nazifascista si aggira per l’Europa riproponendo il suo macabro rituale. La Resistenza non può finire.
In fede, Rosas.
PS. Consiglio di leggere Un sogno chiamato Europa, di Mauro Maggiorani.
Potreste scoprire la differenza fra ieri e oggi.
In fede Macchia

DESOLATAMENTE VUOTO

è questo luogo d’incontro con gli amici lettori. Mia è la responsabilità e, a parziale discolpa, invoco i tempi duri che stiamo attraversando tutti. E per tutti intendo l’intera umanità e generi affini.
Avevo sognato, per la mia vecchiaia, due poltrone davanti al camino acceso, in quel del Termine, a Montombraro. Sulla poltrona più vicina alla fiamma, il sottoscritto con un libro fra le mani. Sto leggendo alcune pagine del Don Chisciotte. Sulla seconda poltrona, Don Chisciotte in persona. Anche lui immerso nella lettura del suo autore preferito: Cide Hamete Benengeli.

Niente camino e niente Don Chisciotte. Solo il mondo che si riprende la sua attività preferita, la guerra.
È tornato il tempo di riprendere anche noi le armi. Le nostre armi, che sono le parole, i concetti, la scrittura e, più difficile, molto, la ricerca della verità in un mare di menzogne.
loriano

La Balla dalle scarpe di ferro

1870. Bologna è preda delle Balle, le libere associazioni di autodifesa e mutuo soccorso del popolo. Vivono ai margini e contro la legge, sono spesso delinquenziali. La piú temuta e pericolosa è la Balla dalle scarpe di ferro: nata dopo l’Unità d’Italia, si è specializzata in furti e omicidi, molti dei quali concepiti e compiuti per fini politici. A riportare ordine in città, arriva dalla Sardegna il questore Felice Pinna, che mette su una squadra speciale: una rete di infiltrati nelle diverse Balle del territorio. Ma il suo piano è ostacolato da una violenza inaudita e da una serie di oscure manovre. Con la sua scrittura acuta e trascinante, Loriano Macchiavelli racconta un Regno d’Italia che tanto somiglia, per i suoi intrighi e le sue macchinazioni, al Paese che conosciamo.

«I romanzi sono come le persone. Come le persone nascono sotto una buona o cattiva stella e, sempre come le persone, muoiono dopo una vita lunga o breve, felice o tribolata. Non tutti, per nostra fortuna. I giganti di carta resistono al tempo. La Balla dalle scarpe di ferro è nato sotto una buona stella, ha avuto una vita accidentata, ma non vuole morire».
Loriano Macchiavelli

Una vita spesso corta e di sicuro sempre tribolata aspetta la Bologna del popolino, nella seconda metà del XIX secolo. Grandi cambiamenti: il papato e gli austriaci hanno dovuto lasciare Bologna a Casa Savoia. La vita quotidiana dei figli del popolo cambia poco, però, sempre alla ricerca di un lavoro a chiamata per dar da mangiare ai figli o di qualche moneta extra per bere e giocare a carte. Anche a costo di prenderli a chi ne ha di più.
Ma la Legge e l’Ordine devono sempre trionfare. Così il nuovo prefetto, catapultato dalla lontana Sardegna, cerca di organizzare le contromisure, in una situazione che sembra sfuggire di mano da un momento all’altro.
Ex garibaldini ed ex combattenti della Repubblica Romana – gente tosta, comunque – cercano di ribellarsi ai traffici che i notabili della città organizzano ai loro danni, mentre si riposizionano al fianco dei nuovi padroni. Ogni sotterfugio, ogni crimine è lecito, quando “la Forza” pubblica ti sta col fiato sul collo e cerca con ogni mezzo – spesso illecito (che novità!) – di spedirti in galera o di toglierti definitivamente dalla circolazione.
E che dire delle donne? Coraggiose, scaltre, instancabili lavoratrici, ribelli, all’occorrenza trafficone e a tratti lascive, cogliendo al volo l’amore e il sesso, quando se ne presenta l’occasione (alcune pagine sono decisamente “a luci rosse”…).
Di certo non sono da meno dei loro amanti o mariti, nel favorire o nell’organizzare ogni sorta di traffico. Tra le varie “Balle” formatesi in quel contesto di semi-anarchia, la Balla dalle scarpe di ferro o del Centro città saprà trovare strade (contorte) per qualche momentanea rivincita?
Poi perché definirla “…dalle scarpe di ferro”? Nel romanzo troverete la risposta. Oltre a molte altre cose che vengono alla luce grazie alle meticolose ricerche e alla penna irriverente di Loriano.
F.Z.

EFFETTI DELLA CALURA

Sarà il caldo di un’estate torrida anche al Termine a farmi sragionare di un passato che mi (ci riguarda). Ecco il risultato. Il brano è lungo, lo so, ma se non ve la sentite, lasciate perdere subito: non leggete neppure la prima riga, qui sotto.

Il passato comincia così:
Nel 1972, assieme agli amici del GTV, giravamo l’Italia portando in teatro il mio testo “Voglio dirvi di un popolo che sfida la morte”. La regia era di Luciano Leonesi. Ricordo ancora la commozione degli spettatori (e la nostra) durante la recita e dopo, quando venivano a chiedere altre notizie oltre a quelle che avevamo dato nello spettacolo.
Avevamo portato in teatro il dramma della Palestina che in quegli anni era sconosciuto ai più. Eppure nel 1948 c’era già stato il massacro di Deir Yassin e di Kafr Qasem e nel 1982 sarebbe arrivato il settembre nero di Sabra e Shatila.
Siamo stati i primi in Italia a portare il dramma dei palestinesi in palcoscenico. Nello stesso anno Dario Fo recitava “Fedayn – La rivoluzione Palestinese attraverso la sua cultura ed i suoi canti”.
Dario Fo venne vedere le nostre prove al teatro Sanleonardo di Bologna e a darci dei preziosi consigli dei quali Luciano Leonesi tenne conto nella sua regia.
Prima di andarsene, disegnò una bellissima locandina che utilizzammo per tutte le repliche. La conservo nell’archivio del mio passato.
Ho appena riletto il testo e mi sono accorto di quanto, già allora, eravamo vicini alla realtà del problema palestinese.
Quello che avevo scritto nel 1971 potrebbe essere stato scritto oggi. Con una sola ignobile, vergognosa differenza: la falsa realtà che hanno costruito attorno al problema, è andata molto oltre la mia. Non ha più remore, quelle remore che ci eravamo illusi non dovessero essere superate.
Alcune frasi inserite nel testo nel lontano 1972, suonano oggi come una triste profezia: “…un’operazione colonialistica ben programmata …per preparare il terreno idoneo al crimine finale. E questo grazie anche all’assenteismo di tutto il mondo…” O anche: I palestinesi oggi vivono la loro duplice tragedia di sangue e di crimine…” O ancora: “In base a questa legge posso farti giudicare da un tribunale militare e farti ritirare il permesso di lavoro. In base a questa legge e per la sicurezza dello stato, posso toglierti tutto…”
Il verso di una poesia ipotizza nel 1972 come sarà il nostro comportamento, a distanza di cinquant’anni, alle notizie che oggi ci arrivano dal luogo di un massacro: Uomini! Sentite la radio? Ascoltate le notizie? Capite ciò che udite?

A rileggerlo oggi, quel testo, a distanza di anni che sono diventati secoli, mi sono reso conto di quanta ingenuità erano nutriti i nostri ideali. Meglio, di quanta ignoranza, nel senso di mancata conoscenza dell’ideologia del nemico, c’era nella nostra presunta cultura di sinistra. Come facevamo a credere veramente che il nemico avrebbe rinunciato alle sue vittorie e alle sue conquiste semplicemente perché noi urlavamo slogan come La rivoluzione di popolo non può mai essere sconfitta? O come Vietnam, Indocina, Cambogia e poi tutto il mondo! Guerra di popolo fino alla vittoria! O ancora Le masse arabe combattono al fianco dei fedayn…”
Non esiste rivoluzione di popolo, non esistono masse.
La vittoria c’è stata e continua oggi: è la vittoria di chi non ha ideali, di chi non si ferma a piangere i morti perché, comunque, non sono e non saranno mai i suoi morti; di chi ha più spazio per convincere gli altri delle proprie ragioni e armi vere che lo aiutano nell’opera di convinzione.
Noi, e tutti quelli come noi, ieri avevamo un palco, dei mitra di legno e spettatori ad ogni replica che non avevano bisogno di essere convinti. Conoscevano il nostro linguaggio e lo condividevano. Oggi non abbiamo neppure quelli. E i mitra di legno sono marciti in qualche scantinato di teatro.
macchia,
in crisi d’identità.