Indagine

Grazie a una rocambolesca fuga di notizie, riceviamo da fonte anonima e volentieri pubblichiamo stralcio di una recente indagine riservata, mai arrivata in giudizio.

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Ufficio del G.I.P. di  (omissis) – 1° sezione – CXXII° piano

RISERVATO – Proposta archiviazione del 14 marzo 2035

     RECENTI INDAGINI ESEGUITE, confermate per altro da ricerche da parte di analisti e storici, sono arrivate a chiarire con sufficiente certezza che i primi lavori letterari di tal MACCHIAVELLI LORIANO, di professione scrittore (Biografia allegato 1), risalgono al periodo durante il quale egli frequentava le scuole medie, ma gli stessi analisti e storici sono incerti se si trattasse di medie inferiori o superiori, com’era suddivisa la scuola negli anni della sua infanzia.

        L’ipotesi più accreditata propende per le tre inferiori, durante le quali egli già scriveva brevi racconti di vario genere. Infatti, secondo il volume Loriano Macchiavelli un romanziere una città (Massimo Carloni e Roberto Pirani, Pirani Bibliografica Editrice, 2004, di cui un estratto è agli atti, allegato 2) l’autore, a suo tempo ebbe a dichiarare:

Ho capito che potevo entrare in contatto con i ragazzi della mia classe attraverso la scrittura. Sarà per questo che ho cominciato a vendere loro i miei raccontini…

     Pare dimostrato che, per la scrittura di tali raccontini, l’autore utilizzasse una dozzinale stilografica. Dicesi stilografica di una particolare ma geniale, piccola macchina tascabile, una penna con serbatoio a inchiostro. Solo più tardi, con l’invenzione e la comparsa sul mercato delle c.d. penne a sfera, poi chiamate Bic o biro, per un certo tempo si adeguò alla nuova moda. Pare che la lasciasse presto, a causa degli inconvenienti che tale strumento provocava, non essendo ancora perfezionato. Spesso infatti, durante la scrittura l’inchiostro, in verità una pasta vischiosa perlopiù di colore nero, blu o rosso fuoriusciva, macchiando mani e fogli. Più spesso, quando la penna a sfera restava a lungo nel taschino a contatto, quindi, con il caldo del corpo, la pasta contenuta nel così detto refill si dilatava e usciva sia dalla punta che dalla parte posteriore macchiando, anzi, marchiando abiti e pelle. Il rapporto dei R.I.S. sui reperti analizzati col metodo del Carbonio-14 rivela che ci restava a lungo, a causa della sua viscosità. Tornò quindi, il Macchiavelli, alla classica penna stilografica che ancora usa, ci dicono gli investigatori, per stendere i primi appunti.

   E torniamo anche noi ai raccontini, come li ha sempre chiamati l’autore. Una volta terminata la stesura a mano, li batteva…
Allora si diceva così, ad indicare i colpi che le dita dovevano infliggere ai tasti della macchina per ottenere la stampa su carta; adesso il verbo ha assunto un altro significato e viene da tempo utilizzato con riferimento a quelle che ormai, nel lessico popolare la Maggioranza chiama escort.
     Li batteva utilizzando una macchina per scrivere rinvenuta, in quel di Bologna, fra le macerie di un palazzo bombardato, e li vendeva ai compagni di classe, alcuni dei quali sostengono, ancora oggi, che  si trattasse di materiale c.d. scabroso, da tenere, per ciò, rigorosamente nascosto ai genitori e da distruggere velocemente in caso di ispezione.

   Che si trattasse di racconti spinti, per quanto interessante sul piano investigativo, letterario e storico, risulta poco credibile sul piano pratico. In quegli anni, ricordiamo, l’autore poteva avere dieci, dodici anni e, a quei tempi (siamo nell’immediato dopoguerra), un giovane di quell’età non era in grado, culturalmente e praticamente, di possedere le minime informazioni che gli permettessero di affrontare argomenti, diciamo, erotici. Inoltre, nonostante discrete indagini svolte presso suoi compagni di classe, non si sono rinvenuti testi che lo possano dimostrare. Se la presente indagine dovesse raggiungere un tribunale, la difesa avrebbe gioco facile: mancano le prove, signori giurati. Questo purtroppo ha reso il nostro lavoro istruttorio più aleatorio.

   Pare esistano di quei fogli soltanto testimonianze orali. Gli ex compagni di classe sembrano concordi nel sostenerne l’esistenza. Così come concordano nel dichiarare che il ricavato delle vendite serviva all’autore per pagarsi l’ingresso al cinema. Dal che ancora si deduce che, di ogni racconto, il giovane doveva batterne a macchina più copie. Alcuni sostengono ne vendesse da sei a otto copie per raccontino.

   Naturalmente, dati i tempi, per poter disporre di più copie dello stesso testo e massimizzare l’offerta, l’autore era certamente costretto a utilizzare quella che allora era nota come carta carbone, da inserire fra un foglio e l’altro. Della carta carbone si è ormai persa memoria, sostituita com’è stata dal computer. In questo senso si potrebbe pensare all’autore come a una sorta di anticipatore degli attuali scrittori in rete.

       Da quanto sopra esposto e come evidenziato, del primo periodo dello scrittore poco si può dimostrare: sia degli avvenimenti che lo hanno riguardato che delle sue precoci opere giovanili, mai arrivate fino a noi.

       Ciò di cui siamo per certo a conoscenza ci viene dal volume citato e che avremo modo di richiamare ancora nell’estensione del presente faldone. Da quella fonte abbiamo estrapolato una dichiarazione del Macchiavelli sulla sua data di nascita. Suona così:

Non so se sia un caso, ma mi pare che Filippo (l’autore allude a un certo Philip Marlowe, eroe creato da Raymond Chandler) sia nato nel ’34, lo stesso anno nel quale è nato Paperino. E tutti e due vivono ancora. Che sia un segno del destino? Anch’io sono nato nel ’34.
Non si può dire che nel nostro abbondi il senso della misura.

     Altra notizia sulla sua infanzia, a quanto sembra piuttosto travagliata dal punto di vista culturale, la ricaviamo sempre dal citato volume, là dove egli dichiara:

Al paese avevo fatto le scuole elementari studiando sui libri che il fascismo aveva preparato per le scuole rurali. Arrivato in città mi sono trovato accanto a ragazzi che avevano studiato sui libri delle scuole urbane… Il signor Benito…

Qui allude a tal Mussolini Benito, tristemente noto per una serie di vicende drammatiche che devastarono il nostro Paese, ma anche altri, e a lui imputate.

Il signor Benito evidentemente riteneva che noi rurali fossimo razza inferiore e tali dovessimo restare…
(omissis)
Sì, ho passato momenti difficili. Mancanza di affiatamento con i cittadini, una cultura e un linguaggio diversi…

      Per completezza, si deve a questo punto richiamare l’attenzione sulla doppia ci che distingue il Macchiavelli da un altro autore, di epoca antecedente e quasi omonimo, tale Nicolò (o Niccolò) Machiavelli del quale molti oggi, purtroppo, hanno perduto memoria. O fingono di aver dimenticato. Entrambe sono da tempo radicate usanze nazionali.

        Se molto di ciò che riguarda anche il Macchiavelli con due ci resta nel vago, alcune cose però, sono certe: il futuro scrittore aveva, fin dall’infanzia  una spiccata tendenza a inventare storie che lo mettevano – e sovente – nei guai. Tendenza che gli è rimasta anche nella maturità, ammesso che si possa parlare di maturità per l’autore sotto inchiesta.

        Una seconda particolarità dell’autore – e che si evince dalla lettura di molte sue opere – stava nelle asserzioni che, per strampalate che fossero, venivano tenute per vere dagli ascoltatori più sprovveduti. In realtà, esaminate oggi, le asserzioni altro non erano che frutto della sprezzante ironia che ha contraddistinto gran parte della sua produzione, letteraria e non.
Senza rimandare alla sua vasta aneddotica, un esempio della caratteristica sopra citata lo possiamo trovare nel solito volume. A precisa domanda dei curatori su quale titolo avrebbe voluto dare a una sua ipotetica, se pure improbabile autobiografia, così rispondeva:

Vita e opere di Macchiavelli Loriano, il più grande scrittore italiano del novecento e dei primi due secoli del duemila.

    A questo punto era – ed è – chiaro che si trattava di autoironia, soprattutto se consideriamo la qualità della produzione letteraria, teatrale, televisiva e cinematografica dell’autore. Eppure tale affermazione a suo tempo procurò al certamente immodesto scrittore una quantità di critiche e di sarcasmo.

      In conclusione, l’indagine ha stabilito: non per colpa sua. Per colpa di chi si prende troppo sul serio.

       L’ultimo reperto documentale, a sostegno e sigillo della ns. affermazione conclusiva e definitiva, è un brano sicuramente non apocrifo del Macchiavelli. Recita:

… e se c’è una cosa della quale sono fiero, è che non mi sono mai preso sul serio. Spero di conservare abbastanza razionalità da continuare a farlo. Quando, parlando o scrivendo di me stesso, lo farò con la serietà di uno scrittore, vorrà dire che scrittore non lo sarò più. 

     Tutto ciò indagato e verificato, si ritiene il non luogo a procedere e pertanto si inoltra richiesta di archiviazione della pratica.

ARCHIVIATO

 

 

 

Sito ufficiale di Loriano Macchiavelli, scrittore