il tempo libero fa male

Non faccio che scrivere e leggere. Il tempo che mi trovo a disposizione lo uso per scrivere, tanto: lo dimostrano gli interventi che sto facendo sul mio sito. E per leggere: molti sono i libri che si erano dimenticati di me. Le poche volte che guardo la televisione, mi prende l’angoscia. Non per ciò che vedo o sento. Per la miseria e la povertà di immaginazione dei conduttori, degli ospiti; per la stupidità dei giochini e dei telegiornali; per come si urla e si fa di tutto perché l’antagonista non riesca a esprimersi. In quest’ultima fatica, il campione indiscusso è un certo Sgarbi Vittorio. Sbraita offende, sputacchia, sbava. Insopportabile.

Io scrivo troppo, sì.
Ma è perché mi arrabbio e quindi sento la necessità di comunicare agli altri la mia rabbia nell’unico modo che ho: scrivendo. Non mi chiamano ad alcuna trasmissione radio, televisiva, giornalistica… E se mi chiamassero, non andrei. Ho qui il mio spazio. Lo uso per raccontare come questo coronavirus stia facendo emergere la parte peggiore dell’umanità.
Ho appena letto che, a causa della carenza di posti letto negli ospedali, qualcuno ha disposto che si scelga chi far morire e chi tentare di far sopravvivere. Gli articoli 2, 3 e 4 della nostra Costituzione non fanno distinzioni di età per quanto riguarda i diritti e doveri degli italiani. Ma nessuno batte ciglio.
Ho 86 anni e se il coronavirus deciderà di fare il nido nei miei polmoni, io sarò spacciato. Definitivamente. Per lasciare il posto letto a un giovane. Bene, prendo atto. Mi adeguo. Per forza. Ma sarà omicidio. L’assassino non sarà il medico che ha scelto. Saranno quei politici che hanno cancellato i piccoli ospedali che i nostri vecchi, con l’occhio avanti, avevano disseminato sul territorio. Saranno i corrotti e i corruttori che si sono mangiati i soldi destinati alla sanità pubblica. Saranno i cosiddetti manager che hanno cambiato il corso della nostra democrazia per quello che hanno chiamato svecchiamento di una società considerata obsoleta e fuori dai Tempi Nuovi.
Balle!

Non avrei mai pensato di essere un conservatore. E non lo sono, sento che non lo sono.
Che un medico decida se togliermi la vita o no, mi rompe, mi rompe forte. C’è qualcuno che ricorda gli articoli 2, 3 e 4 della nostra Costituzione? Sì, c’è, per forza.

Se dovrò andarmene per scelta di qualcuno che non sa neppure chi sono, cosa posso dare e cosa chiedo, se sono stato un onesto cittadino o un delinquente, ebbene, me ne andrò. Ma per favore, scegliete bene chi tenere al mondo al posto mio. Mi scoccerebbe molto che letto e ventilatore che spettavano a me venissero assegnati a Salvini .
Macchia.

cult e non cult

A distanza di 28 anni dalla messa in onda, ancora passa sul piccolo schermo la prima serie televisiva “Sarti Antonio, un poliziotto, una città”. E ancora gli spettatori mi scrivono per esprimere il loro parere, il più delle volte favorevole. E ne sono contento. L’ultimo è di Cortes che scrive:
“Sarti è un buon prodotto ma Coliandro è cult.”
Sono d’accordo ma, visto che ho (abbiamo) molto tempo disponibile, in questi giorni, vorrei precisare. Non per polemica, caro Cortes, né per fare archeologia. Per informazione.
Nel marzo del 1992 (ecco perché scrivo di archeologia), dopo la messa in onda della prima serie televisiva “Sarti Antonio, un poliziotto, una città”, uscì un saggio sulla rivista Sceneggiare la cronaca – la fiction italiana l’Italia nella fiction, anno terzo, di Milly Buonanno (sociologa e giornalista), Nuova Eri edizioni.
Fra le tante (e belle) informazioni e considerazioni sulla serie con protagonista Sarti Antonio (per la TV e chissà perché non più sergente ma ispettore), la Bonanno scriveva:

Ispirata ai racconti di Loriano Macchiavelli, uno dei più originali giallisti contemporanei (esponente di quella che può essere definita “la scuola bolognese”, oggi raccolta sotto il nome di “Gruppo 13”, la serie ha costituito un piccolo successo della stagione e guadagnato al protagonista il riconoscimento di “personaggio dell’anno”( col titolo di “Antonio Sarti brigadiere”, una prima serie era già stata prodotta e messa in onda alla fine degli anni settanta). Soddisfacenti, ma non strepitosi – una media prossima ai due milioni e settecentomila: bisogna tuttavia considerare la collocazione del programma in seconda serata, con inizio dopo le ventidue – i dati di audience non rendono conto della capacità di presa della serie: di cui testimonia invece sia l’attenzione della critica e della stampa in generale – larga e in complesso favorevole copertura nelle rubriche televisive, articoli su quotidiani e periodici – sia e soprattutto il fatto che “L’ispettore Sarti” sia diventato una sorta di cult per il suo ristretto ma appassionato gruppo di spettatori (un pubblico in larga maggioranza settentrionale, presumibilmente emiliano, e con una incidenza della componente maschile fra le più elevate nel panorama stagionale degli ascolti).

Cos’ho tentato di fare con questa mia squallida autocelebrazione, caro Cortez? Ho tentato di dimostrare che il pubblico stabilisce il suo cult a seconda delle epoche e dei gusti e ciò che ieri era cult, oggi non lo è più ma, per la storia, sempre cult rimane.

la mano invisibile

Per aiutarvi a sopportare l’inattività forzata alla quale siete sottoposti, ho pensato di sottoporvi alcuni brani presi qua  e là nella mia (troppo) ampia produzione letteraria.
Penserete: “Preferiremmo di no”.
Ci provo lo stesso.
Siamo ai domiciliari e il nostro carceriere è un tale coronavirus più invisibile della mano invisibile che teorizzavano alcuni filosofi. Per cui resto nell’invisibile e vi propongo una riflessione sulla mano invisibile, riflessione che ho scritto nel luglio del 2013, non ricordo più per quale occasione.

La mano invisibile in poche righe e certamente sbagliate.
Secondo il concetto liberale (Adam Smith?), una mano invisibile guidava l’economia e faceva sì che l’egoismo personale, alla fine; portasse benefici a tutti in quanto i beni frutto degli investimenti e degli sforzi della proprietà (capitalismo?) venivano ridistribuiti alla comunità.
Cioè, l’interesse personale era inevitabilmente l’interesse della comunità.
Personalmente e visti gli effetti del passato, ho molti dubbi che le cose si siano svolte in questi termini, ma andiamo avanti.
Oggi il neoliberismo (Michel Foucault?) è convinto di altro. Il neoliberismo sostiene che la mano che guida l’economia non solo deve essere invisibile, ma lo deve anche essere il risultato finale complessivo da raggiungere. Se abbiamo dei responsabili definiti e un fine altrettanto definito (per es. il bene della collettività) si andrà verso il totalitarismo perché si impone una direzione e quindi si costringe e ciò è contrario alla libertà individuale.
Forse un esempio (non mio, ovviamente), è più efficace. Eccolo:
se in regime di liberismo (sempre Adam) un politico avesse chiesto a un economista “Cosa possiamo fare per voi?” l’economista avrebbe risposto: “Laissez nous faire – Lasciateci fare”. Cioè, non create ostacoli legali al nostro lavoro.
Alla stessa domanda fatta oggi nell’epoca del neoliberismo, l’economista risponderebbe: “Fate ciò che vi diciamo noi”.
Come vedi, siamo nella situazione prevista dal neoliberismo e cioè, l’economia dirige la politica e non viceversa. Non so se sia un bene o un male. So che le cose non vanno bene anche se potrebbero andare bene.
Poiché nella società odierna (basata sull’economia) non appaiono all’orizzonte altre ipotesi oltre queste due, si tratterà di capire quale di esse potrebbe essere la meno drammatica per la comunità. Opzione più che difficile, impossibile perché nessuno (tanto meno gli economisti, figurati noi) può prevedere i risultati ai quali porterebbero entrambe le scelte. Lo sapremmo solo dopo, ma dopo ci sarà la possibilità di altre scelte?
Resta una mano invisibile (non sappiamo, cioè, a chi appartenga né quale direzioni indichi) che dirige le scelte fatte giorno dopo giorno nell’esclusivo interesse di chi la manovra, la mano invisibile. Scelte che perciò (per non essere programmate e per essere provvisorie – nel senso che cambiano continuamente) non sono prevedibili e saranno certo utili all’economia e, altrettanto certo, non alla collettività che, allo stato attuale, non ha alcun potere effettivo. Ha solo un potere figurativo, di inutile (e vorrei dire comica) rappresentanza.

Nel prossimo intervento, se avrete avrete la bontà di seguirmi, leggerete de La verità amletica.

miracolo a milano

A quanto è dato capire, il signor Presidente Fontana ha bisogno dell’Uomo Che non Deve Chiedere Mai.
Noi no.

Miracolo a Milano:
arrivato Bertolaso,
preso virus per la mano
poi, tappatolo nel vaso,
l’ha gettato nell’aldilà
con l’eia, eia, alalà.

Il virus corona

è pericoloso, oltre che per l’apparato respiratorio, per i danni che procura al cervello. L’ho potuto constatare quando ho chiesto al gestore se aveva una mascherina da applicare su naso e bocca. Alla sua risposta negativa ho insistito: “Senta, io avrei una mascherina di carnevale, può andar bene lo stesso?”
L’interpellato ha avuto un attimo di sbandamento mentale e poi: “Non saprei, devo chiedere” ha risposto..
A quel punto in crisi sono andato io: se parlava sul serio, il virus aveva già provocato danni irreparabili al suo cervello. Se era una battuta, per stare al mio gioco, il cervello danneggiato era irreparabilmente il mio.
Sono qui con un dubbio. Anzi, due.
loriano

P.S. Non basta lavarsi le mani. Dobbiamo sciacquarci il cervello abbandonando per un certo periodo (possibilmente lungo) la Tv per dedicarci alla lettura di qualche buon libro.
lor.

P.P.S. Sento già i commenti ironici: “In questo caso non sarà certamente un tuo libro, caro Macchia”.
lor.

P.P.P.S. Fa niente, Importante è che leggiate:il tempo ce l’avete. Usatelo bene.
lor.