Ci sono giornalisti che hanno strani concetti di libertà. A quello che ho capito (ma posso sbagliarmi) la libertà di stampa che costoro auspicano e difendono con manifestazioni, articoli, interviste, dirette Tv e radio, è di poter impunemente offendere il prossimo. Un prossimo che non ha le loro stesse idee, possibilità di manifestazione e comunicazione. E se l’offeso si ribella e usa il loro stesso linguaggio, scritto o orale, si mobilitano e gridano al colpo di stato.
“Mutande verdi di Virginia”, “la fatina e la menzogna”, “la Raggi è inseguita dall’ennesimo, miserabile segreto, custodito da quattro amici al bar”, “Romeo ha un legame privato, privatissimo con la Raggi”, “tesoretti segreti e ricatti”, “la vita agrodolce della Raggi … la sua storia ricorda l’epopea di Berlusconi con le Olgettine”, “al Campidoglio il piacere dell’omertà”…
Tutto per lei. E altro. Molto altro.
Ne viene fuori un ritratto di persona ignobile eppure eletta a una carica prestigiosa. Immaginate come la considereranno gli elettori che l’hanno votata e che leggono solo i giornali istituzionali. Cioè quelli che pubblicano esclusivamente la verità, come le frasi citate sopra.
Tutto a puttane.
Forse no, ma non per virtù dei denigratori. Per virtù di una sentenza.
Io non sono incline alle arrabbiature, ma mi sarei molto, molto arrabbiato se fossi stato oggetto di una campagna denigratoria senza un attimo di respiro.
Ha pianto alla sentenza, dicono. Minimo. Io sarei andato a trovare i responsabili impunibili (in virtù della libertà di stampa) e, civilmente, intendiamoci, avrei cercato di chiarire che molto, quasi tutto ciò che avevano scritto era falso. E per capire, assieme a loro, il motivo di tanta acredine, che sarebbe come dire: asprezza, acidità, astio…
Allora, acredine non basta. Meglio usare il vocabolo ‘odio’: risoluta ostilità, che implica di solito un atteggiamento istintivo di condanna associato a rifiuto, ripugnanza verso qualcosa, oppure un costante desiderio di nuocere a qualcuno…
I vocabolari non guardano in faccia a nessuno.
Per il momento. Domani, chissà. Dicono che sia un altro giorno.
Arrivo alla mia libertà di stampa. Sono stato indagato… Meglio, un mio romanzo (Strage) è stato indagato ed è stato assolto per diritto dovere di cronaca. Assolto anche il sottoscritto per la sua libertà di pensiero ed espressione.
Correva l’anno 1990.
Un altro, Funerale dopo Ustica, non verrà mai più ristampato perché l’avvocato al quale l’editore l’ha fatto leggere, ha ritenuto di dare il suo parere negativo. Anche se me l’hanno pagato come se l’avessero pubblicato.
Bella soddisfazione. Potrò leggerlo ogni volta che ne avrò voglia. In casa mia, di nascosto e che nessuno lo sappia.
Corre l’anno dell’oggi.
Così ho imparato che i miei romanzi non vengano letti da un editor, com’è sempre stato e sempre dovrebbe essere, ma da un avvocato.
Dov’è finito il diritto dovere di cronaca? E dove la mia libertà di espressione mediante la stampa?
Veramente viviamo tempi oscuri.
Sarebbero più chiari se gli esposti al Presidente della Repubblica, gli appelli alla solidarietà con i giornalisti a rischio libertà, le radunate (non sediziose, mi raccomando) con cartelli e bavagli alla bocca e tutto il resto dell’armamentario ritrovato solo ora (dov’erano quando cacciavano dalla Rai i giornalisti scomodi?) riguardassero anche la mia libertà di stampa, di espressione e pensiero.
Avvertitemi, nel caso.