Ci siamo accorti, o avremmo dovuto, di come politica e cultura dei nostri giorni stiano modificando, sotto i nostri occhi, il significato delle parole.
È una vera e propria rivoluzione silenziosa che ci porterà in una società dove l’interpretazione dei suoni che formano un discorso, e cioè il senso dei dialoghi, sarà soggettivo e quindi impossibile da decifrare.
Di questa rivoluzione ho scritto da tempo nei miei percorsi narrativi.
Riporto qui sotto alcuni esempi.
Brano tratto dal testo teatrale Operagialla, 2003.
Credo che sia (o meglio, mi auguro che sia) il risultato della globalizzazione. Una parola odiosa inventata per giustificare ogni malefatta, ogni delitto che si consuma a danno dell’umanità.
Anche umanità è una parola che ha perduto il suo significato.
Quante volta ci hanno ripetuto: colpa della globalizzazione.
Perché?
Cos’è?
A che serve?
Domande alle quali nessuno risponde. O, se risponde, ci inganna.
Da Una questione di principio, 2001.
Non ci sono dubbi: come dicono da tutte le parti, noi viviamo l’era della comunicazione globale, dell’informazione globale. Di questi tempi tutto è globale, anche la guerra. Io comincio a pensare, invece, che viviamo l’era dell’incomunicazione.
Il computer mi sottolinea incomunicazione, ma io non lo ascolto più.
Dicevo: comincio a pensare che le parole abbiano un senso diverso per ognuno di noi. Io, per esempio, do un certo significato alla parola ‘guerra’. Per me ha un significato tremendo, sarà perché l’ho vissuta e la ricordo. Per me significa morte, stragi, distruzione, fame, miseria… Ammesso che queste parole abbiano il senso che io immagino.
Per molti giornalisti e politici la parola ‘guerra’ evidentemente significa altro perché ne parlano sorridendo, divertendosi a giocarci e subito dopo averne parlato, i giornalisti passano alle notizie sportive, alla pubblicità, e i politici, alla legge sul falso in bilancio.
L’informazione globale ci mostra le immagini della CNN, sapete, quei puntini luminosi su uno schermo azzurro, e ci racconta e si racconta, che sono razzi intelligenti di una guerra intelligente.
Per me ognuno di quei puntini luminosi significa gente che sta per morire, case che stanno per crollare e loro, i destinatari di quei puntini luminosi, non lo sanno ancora. Io lo so. Io so che quando quel puntino finirà la sua corsa, sarà la distruzione e nella distruzione io non ci vedo niente, ma proprio niente di intelligente.
Si parlano fra loro, gli uomini politici, e non si capiscono.
Arafat ordina ai suoi uomini di sospendere l’intifada e i suoi uomini capiscono che si deve continuare. Perez spiega a Sharon che ha incontrato Arafat e si è messo d’accordo per una tregua e Sharon ordina ai suoi carri armati di demolire le case dei palestinesi.
Bush dice che o si è con lui o si è contro di lui.
A proposito, chi ha un minimo di memoria dovrebbe ricordare “Con noi o contro di noi!”, “Dio è con noi” eccetera, eccetera.
Dunque Bush dice che o si è con lui o contro di lui, e io penso con terrore (è proprio il caso di usare questo termine) che se non sono con lui e non sono contro di lui, come posso sopravvivere?
Il papa legge ogni mattina accorati appelli al mondo con i quali invita gli stati alla pace, ma nessuno lo ascolta e i bombardamenti continuano e gli attentati non si fermano e il macello continua.
C’è poi un certo uomo politico italiano che parla, parla, promette, promette (e lo sentiamo e lo vediamo tutti dallo schermo globale televisivo) e crediamo di aver capito una cosa. Ma lui, il giorno dopo, ci rampogna perché non abbiamo capito niente e abbiamo travisato le sue parole. I casi sono due: o siamo ignoranti noi o…
Pensate al significato di libertà, pace, democrazia, terrorismo… Ognuno di noi dà a queste parole il senso che gli fa comodo per cui libertà e pace non sono quelle che conosco e vorrei io, ma sono diventate strette, in nome appunto, della libertà e della pace.
Be’, questo vuol proprio dire non capirsi perché il senso delle parole non è lo stesso per ognuno di noi. Mi fa venire in mente un periodo della mia giovinezza, quando una certa categoria di persone, a Bologna, aveva inventato e usava un linguaggio criptico comprensibile solo agli addetti ai lavori.
Le parole e i modi di dire erano nati nelle strade malfamate e in dialetto, ma i giovani perbene (cosa vorrà poi significare perbene?) della mia generazione, e io stesso, se n’erano impadroniti, le avevano trasformate in italiano e le usavano nei discorsi fra loro. Gli altri, i genitori, gli insegnanti, i grandi, insomma, ne erano esclusi. Un modo di protestare contro un mondo che non ci capiva e a sua volta tendeva a escluderci.
Brano tratto da Noi che gridammo al vento, Einaudi, 2016.
Sono ossessionato dalla verità e non dalla vendetta. Quante volte ti ho parlato di verità, Professore. Da annoiarti e annoiarmi. Forse lo faccio perché temo, nei lunghi anni di attesa, temo di aver capito che non c’è differenza fra verità e falsità.
Intendimi bene, Professore: non c’è differenza nel significato delle due parole. Il valore della verità è il suono di una parola. La verità non è un oggetto e non si può raccontare. Esiste. È un simbolo. E così io la invento per quelli che non si fermano ai suoni e vanno alla radice del bene e del male.
Lo sai, Professore: il tema della falsità lecita, lecita perché utile, risale a Platone. Esisteva ancora il desiderio. Nel nostro mondo non esiste più il desiderio. Tutto è disponibile, anche la verità. Se non lo fosse, diventerebbe un desiderio pericoloso. Ed ecco pronte per ognuno di noi tante verità fra le quali scegliere. E se non c’è, sei libero di costruirti la tua. Si chiama democrazia.
Brano tratto da Questionario Flores d’Arcais, 2016, per Micromega.
Per noi, oggi, guerra è solo una parola che sentiamo troppo spesso, ma non abbiamo la percezione esatta del suo significato.
Nel 1945 fame significava FAME. Niente, proprio niente da mangiare.
Guerra significava GUERRA! Massacri, distruzione, lutti, dolori non narrabili. E fame, ancora, e stragi…
Oggi si dice: ho fame, e si va a mangiare. Qualcosa si trova.
Si dice guerra e a cosa si pensa?
Una nobildonna con responsabilità istituzionali dichiara: “Pronti a inviare almeno 5.000 uomini”. Un altro, sempre con responsabilità istituzionali: “Pronti a combattere”.
Non conosciamo più il significato delle parole? O è incoscienza, irresponsabilità, presunzione? O l’antica ignoranza di sempre?
Quando arriveremo ad “armiamoci e partite”, sapremo di aver buttato nel cestino dei rifiuti settant’anni di cultura, di storia, di democrazia. Assieme alla Resistenza.